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I BAMBINI DEL POZZO ( storie vere)

In questo articolo tratterò la storia di bambini vittime di incidenti da caduta in pozzi. 

Kathy Fiscus

Kathryn “Kathy” Anne Fiscus (21 agosto 1945San Marino (California), 8 aprile 1949) è stata una giovane cittadina statunitense, protagonista di un tragico fatto di cronaca della fine degli anni ’40.

Nel pomeriggio di venerdì 8 aprile 1949, Kathy stava giocando con la sorella Barbara ed il cugino Gus in un campo in San Marino quando, ad un tratto, precipitò in un pozzo abbandonato. Suo padre David lavorava per la compagnia idrica della zona, la California Water & Telephone Co. e conosceva bene quel pozzo dal 1903, quando aveva iniziato l’attività. Proprio David Fiscus aveva in precedenza segnalato alla legislatura statale di sorvegliare il pozzo, e aveva proposto di chiuderlo attraverso delle colate di cemento.

Alcune ore dopo l’incidente, fu messo in atto un tentativo di soccorso che prevedeva l’utilizzazione di trivelle, bulldozer, gru ed autocarri, forniti da una dozzina di città, oltre a 50 riflettori prestati direttamente dagli studi di Hollywood. Dopo aver scavato in verticale per circa 30 m, Kathy venne recuperata la domenica sera. Di fronte alle 10.000 persone che avevano seguito la liberazione, un medico annunciò la morte di Kathy per asfissia.

Il tentativo di soccorso venne trasmesso attraverso le reti televisive a tutta la nazione e si rivelò essere l’evento più tragico in tutta la storia della televisione statunitense. Anche alcune reti radiofoniche, come KTLA, rimasero collegate ininterrottamente per raccontare la cronaca del tragico fatto. Quest’evento fu rievocato quasi 40 anni più tardi, durante la liberazione riuscita di Jessica McClure, nel 1987.

L’ubicazione esatta del pozzo è attualmente ignota, ma si pensa che si trovi sotto i campi da tennis del San Marino High School o sotto i campi di calcio della zona. Kathy riposa al Glen Abbey Memorial Park di Bonita (California) e sulla sua lapide viene riportata la seguente frase: “Una piccola ragazza che unì il mondo per un momento”.

Il cantante Jimmie Osborne scrisse e registrò, poco tempo dopo l’accaduto, “The Death of Little Kathy Fiscus” (King 788). Furono vendute milioni di copie della canzone e metà dell’incasso fu donato ai genitori della bambina.

Woody Allen rievocò la tragedia di Kathy nel film del 1987 Radio Days. Nel film appare una bambina di nome Polly Phelps che precipita in un pozzo vicino a Stroudsburg, Pennsylvania. Un’altra ricostruzione del fatto era stata raccontata nel film La bambina nel pozzo (1951). Anche L’asso nella manica, diretto nello stesso anno da Billy Wilder è ispirato parzialmente all’evento.

 

ALFREDINO RAMPI

Il piccolo Alfredo Rampi, che sta passando qualche giorno con i suoi genitori nella casa di campagna della Borghesiana, cade in un pozzo artesiano in un terreno in località Selvotta, vicino alla Via di Vermicino. Arrivano i Vigili del Fuoco. Tocca al comandante provinciale di Roma, Elveno Pastorelli, organizzare i soccorsi. Il bambino, 6 anni e una malformazione cardiaca, è precipitato a trentasei metri sotto terra. Il primo problema è parlargli, sapere come sta e fargli sentire che tutti, in superficie, stanno lavorando per tirarlo fuori: arriva un microfono. Nei giorni successivi, a quel filo, tenuto a un capo dal Vigile del Fuoco Nando Broglio, sarà legata la speranza di poter riabbracciare Alfredo. Tutti seguono l’Eroe Pompiere che tenta di tener sveglio Alfredino, gli promette un giro sull’autopompa e gli dice che a salvarlo stanno arrivando Mazinga Z e Gig Robot.

Il primo tentativo di salvataggio determina tutte le mosse successive, limitando di fatto le possibilità di intervento. Si cala nel pozzo una tavoletta di legno, forse Alfredino può aggrapparsi. Il pezzo invece resta incastrato a 22 metri di profondità e diventa un ostacolo per chiunque cerchi di raggiungere il piccolo. Tullio Bernabei, speleologo del soccorso alpino, tra i primi ad arrivare sul posto, prova a calarsi nel pozzo alle prime luci dell’alba di giovedì 11 giugno. Bernabei raggiunge la tavoletta e prova a segarla, un tubo nel pozzo glielo impedisce, le operazioni vanno per le lunghe, intanto si cerca una trivella per scavare un altro pozzo. Già da diverse ore il comandante Pastorelli cerca una trivella abbastanza potente da sfondare il suolo. Arriva nelle prime ore della mattina di giovedì 11 giugno. Si decide di scavare un pozzo parallelo a quello in cui è imprigionato Alfredino, scendere a 38 metri, e intercettare il bimbo da sotto grazie a un tunnel di raccordo.Intanto alla madre di Alfredo, Franca, e al padre Fernando, ai vigili del fuoco, ai volontari del Club Alpino Italiano, agli abitanti della zona, cominciano ad aggiungersi gli operatori delle radio e tv private, i giornalisti dei quotidiani romani, ma anche centinaia di curiosi, passanti, persone che vogliono dare una mano o che, semplicemente, vogliono guardare come va a finire. 12 giugno. Le operazioni di scavo vanno a rilento. Arriva un’altra trivella, più grande e potente. Il Vigile Nando continua a parlare col bambino. Con la nuova trivella arriva anche la Tv di Stato. Sulla Rai è Piero Badaloni ad aprire una diretta che paralizza l’Italia davanti al video: dalle 14.00 alle 20.00 del giorno 12 viene registrata una media di 12 milioni di telespettatori. La Rai intraprende una diretta a reti unificate che non ha precedenti nella storia della televisione italiana, doppia e amplifica la presenza sul posto dell’agguerrita compagine delle tv private. La placida campagna della Borghesiana si trasforma in un teatro all’aperto, il pozzo di Vermicino diventa l’ombelico d’Italia. L’inizio della diretta televisiva anticipa di qualche ora l’arrivo dell’allora presidente della Repubblica Sandro Pertini. Dice di non volersene andare finché non termineranno i soccorsi.

Sono ore di speranza. Cade l’ultimo diaframma che separa il pozzo scavato dai soccorritori da quello dove è incastrato Alfredino. Ma Alfredino non è dove dovrebbe essere. È scivolato ancora più giù: a 61 metri. La situazione diventa sempre più difficile, serve un’impresa disperata. Di fronte al comandante Pastorelli si presentano nani, giocolieri, speleologi, esperti di pozzi. Tra questi c’è Angelo Licheni che riesce ad eludere i controlli dei carabinieri e superare la bolgia dei curiosi. Lui e Donato Caruso sono gli ultimi due volontari che riescono a toccare il piccolo. Licheri, che lavorava in una tipografia e non aveva nessuna esperienza di pozzi, si cala a testa in giù nel budello da 25 cm dove è imprigionato Alfredino. Sono le 23,50 di venerdì 12 giugno. Angelo Licheri riesce a raggiungere il piccolo, respira ma è pieno di fango, con un dito Licheri gli pulisce la bocca, prova a mettergli un’imbracatura ci riesce ma Alfredino è un tutt?uno con il pozzo con le ginocchia rannicchiate. Il fango complica tutto, dopo vari tentativi di tirarlo su Licheri rinuncia e torna in superficie. Il tipografo è stordito, sanguina vistosamente per le ferite riportate nella discesa. Viene portato in ospedale. Poi è la volta di Donato Caruso, lo speleologo raggiunge il bambino, non respira quasi più. Anche lui non riesce a tirarlo in superficie.
Torna su e dichiara :”se tiravo lo portavo su a pezzi, è intrappolato nel fango.”

La mattina del sabato, dal microfono, non si sente più alcun suono. Il dott. Fava, il medico accorso sul posto conferma che il piccolo è spirato. Le operazioni di recupero del corpo durano un mese. Il pozzo viene sigillato. Il funerale di Alfredino Rampi si tiene il 17 luglio del 1981 nella Basilica di San Lorenzo Fuori Le Mura. Ma non c’è pace per la famiglia Rampi, nessun riposo ristoratore per i volontari e i soccorritori. Contro di loro c’è la reazione popolare e la gogna mediatica. Adesso tutti adesso sanno cosa andava fatto. E sul perché non sia stato fatto si scatenano le ipotesi più assurde: Vermicino diventa leggenda metropolitana. Invece di chiarire i punti oscuri della vicenda, l’inchiesta condotta dal Pubblico Ministero Giancarlo Armati finisce per alimentare molti dubbi. Nel 1982 vengono rinviati a giudizio per omicidio colposo l’amministratore del fondo agricolo in cui si trovava il pozzo, e il titolare della ditta che aveva eseguito lavori di sbancamento successivi allo scavo. La posizione del primo viene stralciata per gravi problemi di salute, il secondo viene assolto nel 1987, perché al momento del fatto aveva già concluso i lavori. Nel febbraio dello stesso anno, il Pubblico Ministero Armati avvia un’altra inchiesta. Il Pm raccoglie le numerose contraddizioni emerse dalla ricostruzione delle fasi del salvataggio e formula un’ipotesi sconvolgente: Alfredino potrebbe essere stato gettato nel pozzo. Armati riascolta tutti i testimoni ma non viene a capo di nulla. Nel novembre dell’87 chiede l’archiviazione definitiva. Nessun colpevole, dunque. Almeno questo dice la storia. Fu solo, si fa per dire, mostruosa disorganizzazione.
Per Alfredino ha fatto il tifo un intero Paese. E’ finita male. E’ diventato tabù, qualcosa da non evocare. Un trauma collettivo che cerchiamo di rimuovere. Perché è fatto della stessa sostanza delle nostre paure più profonde. Rimuovere un trauma è un meccanismo di difesa, aiuta ad andare avanti. A patto di farci i conti. Il trauma Vermicino, una specie di cerniera tra due Italie, parla ancora al Paese, connesso in diretta con l’artesiano maledetto a 25 anni di distanza.

« Volevamo vedere un fatto di vita, e abbiamo visto un fatto di morte. Ci siamo arresi, abbiamo continuato fino all’ultimo. Ci domanderemo a lungo prossimamente a cosa è servito tutto questo, che cosa abbiamo voluto dimenticare, che cosa ci dovremmo ricordare, che cosa dovremo amare, che cosa dobbiamo odiare. È stata la registrazione di una sconfitta, purtroppo: 60 ore di lotta invano per Alfredo Rampi.  »
(Giancarlo Santalmassi durante l’edizione straordinaria del Tg2 del 13 giugno 1981)

Alfredino Rampi

Alfredo Rampi, detto Alfredino per la sua giovane età (Roma, 11 aprile 1975Vermicino, 13 giugno 1981), è stato il protagonista di un tragico fatto di cronaca dei primi anni ottanta: mercoledì 10 giugno 1981, alle 19, cadde in un pozzo artesiano largo 28 cm e profondo 80 metri in via Sant’Ireneo, località Selvotta, una piccola frazione di campagna vicino a Frascati, situata lungo la via di Vermicino, che collega Roma sud a Frascati nord.

I soccorritori cercarono con grandi sforzi di salvarlo: si pensò che Alfredino fosse bloccato a 36 metri di profondità, ma la creazione di un tunnel parallelo non si rivelò risolutiva, in quanto il bambino sprofondò giù per altri 30 metri. Il dramma fu seguito tramite una diretta televisiva non stop lunga 18 ore a reti RAI unificate. L’Italia intera rimase in ansia a seguire l’evolversi della situazione: si stimò che in media 21 milioni di persone avessero seguito alla televisione la straziante vicenda.

Sul luogo si portò anche l’allora Presidente della Repubblica Sandro Pertini. Un coraggioso volontario, Angelo Licheri (di professione tipografo), si fece calare nel pozzo, perché piccolo di statura e molto magro. Riuscì ad avvicinarsi al bambino, tentò di allacciargli l’imbragatura per tirarlo fuori dal pozzo, ma per ben tre volte l’imbragatura si aprì; tentò quindi di prenderlo per le braccia, ma purtroppo il bambino scivolò ancora più in profondità. In tutto, Licheri rimase a testa in giù 45 minuti.

Questo evento ebbe una notevole risonanza mediatica.

Si è trattato del primo caso che, trasmesso a lungo in televisione, ha fatto rimanere milioni di persone in ansia davanti al televisore per seguirne lo svolgimento.

Le tecnologie per le dirette da luoghi esterni non erano sufficientemente sviluppate da permettere agevolmente lunghe dirette e gli eventi di cronaca erano mandati in onda in differita e in sintesi.

Inoltre i giornalisti dell’epoca, per pudore o per motivi etici, erano contrari a trasmettere tragedie così dolorose e tragiche, per rispetto sia delle vittime che degli spettatori. In questo caso le immagini in diretta furono inizialmente trasmesse perché si riteneva che si trattasse di un incidente che si sarebbe risolto positivamente in poco tempo.

Col passare del tempo la situazione si era lentamente aggravata, ma era troppo tardi per interrompere le trasmissioni.

Se oggi appare ovvio che i giornalisti si intromettano in eventi dolorosi di questo tipo, in precedenza la questione costituiva un grave problema morale ed un famoso film americano, L’asso nella manica di Billy Wilder del 1951, aveva trattato questo argomento.

Una sentenza del Tribunale civile ha vietato che uscissero dagli archivi della Rai le sequenze in cui Alfredo Rampi «piange o singhiozza», «chiama la mamma o i soccorritori» e quelle in cui «i genitori e altri soccorritori cercano di tranquillizzarlo». In seguito a ciò, la direttrice delle teche Rai Barbara Scaramucci ha dovuto inviare una nota di servizio per ricordare ai giornalisti il divieto tassativo di mandare in tv la diretta della tragedia di Vermicino.[1]

Man mano che passavano le ore la voce del bambino, raggiunto da un microfono, giungeva sempre più flebile. Il bambino, probabilmente ferito dalle cadute, morì verso le ore 6:30 del 13 giugno dopo che un altro volontario, Donato Caruso, provò come Licheri ad imbragare il bambino e fu in quel momento che quest’ultimo si accorse che Alfredino era ormai spirato. Il corpo fu recuperato l’11 luglio, ben 31 giorni dopo la sua morte.

In seguito la madre, Franca Rampi, fondò il “Centro Rampi” che si occupa di Protezione Civile e minori.

Questo evento ebbe una notevole risonanza mediatica.

Si è trattato del primo caso che, trasmesso a lungo in televisione, ha fatto rimanere milioni di persone in ansia davanti al televisore per seguirne lo svolgimento.

Le tecnologie per le dirette da luoghi esterni non erano sufficientemente sviluppate da permettere agevolmente lunghe dirette e gli eventi di cronaca erano mandati in onda in differita e in sintesi.

Inoltre i giornalisti dell’epoca, per pudore o per motivi etici, erano contrari a trasmettere tragedie così dolorose e tragiche, per rispetto sia delle vittime che degli spettatori. In questo caso le immagini in diretta furono inizialmente trasmesse perché si riteneva che si trattasse di un incidente che si sarebbe risolto positivamente in poco tempo.

Col passare del tempo la situazione si era lentamente aggravata, ma era troppo tardi per interrompere le trasmissioni.

Se oggi appare ovvio che i giornalisti si intromettano in eventi dolorosi di questo tipo, in precedenza la questione costituiva un grave problema morale ed un famoso film americano, L’asso nella manica di Billy Wilder del 1951, aveva trattato questo argomento.

Una sentenza del Tribunale civile ha vietato che uscissero dagli archivi della Rai le sequenze in cui Alfredo Rampi «piange o singhiozza», «chiama la mamma o i soccorritori» e quelle in cui «i genitori e altri soccorritori cercano di tranquillizzarlo». In seguito a ciò, la direttrice delle teche Rai Barbara Scaramucci ha dovuto inviare una nota di servizio per ricordare ai giornalisti il divieto tassativo di mandare in tv la diretta della tragedia di Vermicino.[1]

Alfredo e la sua morte sono anche uno dei vari misteri italiani.

Attraverso le fotografie del corpo congelato, al momento della dichiarazione di morte, si notò una imbragatura che lo avvolgeva, durante l’interrogatorio di Angelo Licheri il volontario disse che era stato lui a metterla quando si era calato per il tentativo di salvataggio. Questa tesi fu contestata dai pompieri che sostennero che simile imbragatura non poteva essere assolutamente messa dentro un pozzo artesiano. Venne ascoltato il responsabile del CAI (A.B.), che riconobbe l’imbracatura appartenente al gruppo di speleologi e dichiarò assieme a tutti gli altri soccorritori che era la stessa usata nel tentativo di salvataggio di Alfredino.

Durante le indagini vennero interpellati i costruttori di quel pozzo, i quali affermarono che data la complessità della sua apertura era impossibile che un bambino ci fosse caduto accidentalmente. Si crearono però discrepanze riguardo a quello che doveva essere il diametro del pozzo alla sua imboccatura, poiché i primi volontari vi si erano calati senza troppa difficoltà. I costruttori poi cambiarono versione riguardo alla copertura del pozzo, cosí che non si poté risalire a responsabilità riguardo a chi potesse averlo lasciato aperto.

Ad aumentare il mistero furono le stesse parole del piccolo Alfredo pronunciate in quelle ore di agonia: non aveva la benché minima idea di dove si trovasse e nemmeno come ci fosse capitato. La poca luciditá data dalla mancanza di ossigeno e dalla permanenza prolungata nel pozzo potrebbero spiegare questa incongruenza.

Il magistrato era certo che Alfredo fosse stato calato nel pozzo dopo essere stato addormentato, e che quindi non vi fosse caduto, ma le indagini furono archiviate per l’impossibilità di giungere alla verità. [2]

Il volontario del soccorso alpino Tullio Bernabei continuerà a sostenere la sua verità, che è quella degli speleologi del CAI, che è quella di Licheri, che è quella della stessa famiglia Rampi: “L’imbracatura trovata sul corpo del bambino era il frutto dei nostri tentativi di salvataggio, in particolare quello di Licheri. Purtroppo quella di Vermicino è una storia abbastanza semplice”.

 

 

 

 

 

 

Jessica McClure

Jessica McClure Morales (Midland, 26 marzo 1986) è una ragazza statunitense divenuta famosa per essere caduta all’età di 18 mesi in un pozzo nel giardino della zia, il 14 ottobre 1987.

Da quel giorno, sino al successivo 16 ottobre, i soccorritori lavorarono per ben 58 ore prima di liberare“Baby Jessica” dal pozzo largo 8 pollici (20 cm circa) ad una profondità di 22 piedi (6,7 metri circa). La storia conquistò l’attenzione mediatica su scala mondiale (portando, secondo alcune critiche, ad un vero e proprio circo mediatico) e, nel 1989, divenne spunto per un film TV dell’emittente americana ABC. Così come evidenziato nel film, di vitale importanza per il salvataggio fu l’utilizzo dell’allora nuova tecnologia ditaglio a getto d’acqua.

La CNN, all’epoca dei fatti un’emergente emittente televisiva via cavo, fu presente sul luogo dei fatti con un reportage senza sosta sulle operazioni di salvataggio. Questo imponente bombardamento mediatico della vicenda indusse l’allora presidente Ronald Reagan a dichiarare: “Tutti inAmerica siamo diventati madrine e padrini di Jessica mentre questa vicenda si va evolvendo”.

Sin dall’inizio, e durante tutto l’arco dell’evolversi dell’incidente, il centralino di una locale emittente televisiva, KMID-TV, fu sommerso di chiamate da parte di organi d’informazione e di privati cittadini di tutto il mondo, i quali chiedevano le ultime novità circa i tentativi di salvataggio e, in alcuni casi, condividevano le proprie idee e opinioni circa questo ed altri incidenti analoghi.

Ron Short, un muscoloso imprenditore edile specializzato nella costruzione di tetti, nato senza clavicole a causa di una displasia cleidocranica e quindi in grado di piegare le sue spalle per muoversi in spazi angusti, giunto sul posto si offrì di scendere nel pozzo; la sua disponibilità fu presa in considerazione ma egli non fu impiegato. La fotografia del salvataggio di Jessica fruttò il premio Pulitzer come migliore fotografia dell’ultim’ora a Scott Shaw, dell’Odessa American, un quotidiano con sede ad Odessa in Texas.

D. Lance Lunsford scrisse “The Rainbow’s Shadow: La vera storia del salvataggio di “Baby Jessica” e le tragedie che ne seguirono”, pubblicato nel 2006. La ABC produsse un film TV della storia nel 1989, intitolato “Una bambina da salvare: Il salvataggio di Jessica McClure”, con Patty Dukee Beau Bridges. Il film fu interpretato, tra l’altro, da comparse che avevano realmente preso parte alle operazioni di salvataggio.

Il 30 maggio 2007, il quotidiano statunitense USA Today ha inserito “Baby Jessica” alla posizione numero 22 della sua classifica delle “25 vite di indelebile impatto”. In un episodio dei Simpson, intitolato “Radio Bart”, vi è la parodia dell’attenzione data dai media alla vicenda McClure. Alcuni fotogrammi del salvataggio di Jessica McClure sono stati inseriti nel video musicale della canzone “Man in the Mirror” di Michael Jackson e nel film “V per Vendetta“.

A seguito dell’incidente avvenuto il 16 ottobre 1987, i chirurghi dovettero amputarle un dito del piede andato in gangrena per insufficiente apporto di sangue mentre si trovava nel pozzo e si procurò una cicatrice sulla fronte dopo per aver urtato il capo contro le pareti della cavità. Jessica fu sottoposta a quindici interventi chirurgici nel corso dell’anno. Ciononostante non è in grado di ricordarsi direttamente di quanto sia avvenuto. La McClure si è diplomata presso la Greenwood High School, vicino Midland, nel maggio del 2004.

Il 28 gennaio 2006, si è sposata con Daniel Morales secondo il rito della Chiesa di Cristo in una cittadina alle porte di Midland. La coppia si è conosciuta presso un asilo nido dove la McClure lavorava con la sorella del suo futuro marito. La coppia ha un figlio di nome Simon ed una figlia di nome Sheyenne.

Il 26 marzo 2011, al compimento dei 25 anni, ha ricevuto un acconto di garanzia del valore di 800.000 dollari. L’acconto di garanzia le è stato di aiuto nell’acquisto della sua abitazione che si trova ad appena due miglia dal luogo dell’incidente che l’ha vista coinvolta nel 1987.

Il paramedico Robert O’Donnell e l’agente di polizia Andy Glasscock rivestirono ruoli decisivi nel salvataggio. O’Donnell soffrì di disturbi da stress post-traumatico e si suicidò nel 1995. Nel 2004, Glasscock fu arrestato in quanto accusato di abusi sessuali nei confronti di minori. Fu condannato e attualmente sta scontando una pena di 20 anni di reclusione.

https://www.youtube.com/watch?v=j_KHLEizaaQ

SALVATORE E FRANCESCO PAPPALARDI: la storia dei fratellini di Gravina

Questa storia e’1 po’ diversa dalle precedenti… qui parliamo dell’omicidio di  2  fratellini….

Bari, scomparsi due fratellini

Hanno 13 e 11 anni: ricerche in corso

Ore d’ansia a Gravina in Puglia, dove due fratellini, di 13 e di 11 anni, sono scomparsi lunedì pomeriggio da casa. Lo hanno denunciato i loro genitori. Ricerche sono in corso in tutto il paese da parte della polizia e delle altre forze dell’ordine. I ragazzini erano scesi per strada a giocare ma non vi hanno fatto rientro. Martedì i genitori ne hanno denunciato la scomparsa al locale commissariato della Polizia di Stato.

Le ricerche sono estese in tutto il paese e vengono fatte con ogni mezzo e con il coordinamento della polizia. Stando a quanto si è fin qui saputo, i due fratellini erano andati regolarmente a scuola ed erano poi rincasati. Nel pomeriggio erano scesi per strada a giocare ma poi non sono più rientrati.

I loro genitori hanno atteso a lungo che rincasassero, probabilmente anche sperando che i due ragazzini avessero voluto in quel modo dare un segno del loro disagio per la situazione di crisi famigliare in atto: tra il padre, che ha un’occupazione, e la madre, casalinga, sarebbe infatti in corso la separazione. Non si sa se gli stessi genitori abbiano cercato i loro figlioli durante la notte; in ogni caso stamane si sono recati al commissariato di polizia di Gravina in Puglia e hanno raccontato della scomparsa dei due fratellini. In queste ore la polizia ha ascoltato diverse persone e anche alcuni ragazzini, compagni di scuola e di giochi dei due fratellini, ma finora non sarebbero stati raccolti elementi di particolare utilità per le ricerche

Dal giugno del 2006 non si avevano più notizie di due fratellini di Gravina in Puglia, Francesco Pappalardi, 13enne, e Salvatore Pappalardi, undicenne. Da allora non si seppe più nulla. Molte le piste seguite dagli investigatori, che li hanno portati anche in Romania. L’anno scorso venne arrestato il padre. Ma dei bambini nessuna notizia. Fino al 25 febbraio 2008, quando i loro corpi sono stati ritrovati.

Francesco e Salvatore Pappalardi: “Una fine orribile”

Ventisette anni fa l’Italia si era fermata per Alfredino Rampi, caduto in un pozzo artesiano a Vermicino. Ieri, per qualche ora, si era tornati al 1981, a Pertini, alle interminabili dirette televisive, ai pompieri e ai volontari che si calano nel buio. Invece il destino fa trovare due corpi, mummificati.

Di due ragazzi, che secondo il Questore di Bari, sono caduti vivi in fondo al baratro. Nel nero: a fare quella che il Procuratore della Repubblica di Bari ha definito “Una fine orribile”. La vicenda di Francesco e Salvatore Pappalardi non si chiude qui però. Restano in piedi le accuse al padre dei due fratelli; resta in piedi l’ipotesi che abbia depistato le indagini.

Soprattutto rimane “L’impianto accusatorio: l’ipotesi è quella di omicidio” come spiegato dal Questore di Bari Vincenzo Maria Speranza. Per fare ordine in questa vicenda, il sito di Chi l’ha visto offre una panoramica molto ben aggiornata. Una esauriente cronologia dell’orrore.

Francesco e Salvatore sono i due fratellini di Gravina che nel pomeriggio del 5 giugno 2006 sono usciti per giocare vicino
alla casa del padre, al quale sono affidati. Entrambi non sono più rientrati. Dopo molti mesi di inutili ricerche, depistaggi,
ricerche anche in Romania, violente reciproche accuse fra i suoi genitori si arriva al 27 novembre 2007 quando il padre
Filippo viene arrestato con l’accusa di omicidio in seguito ad un eccesso di metodi correzionali ed occultamento dei cada-
veri. Gli inquirenti ritengono aver raccolto una serie di indizi ritenuti “gravi, precisi e concordant” a carico dell’indagato.
Il Pappalardi continua a proclamarsi innocente e la moglie e le figlie di lei non hanno fatto alcuna ammissione. A questo
proposito ho notato che negli ultimi anni è sempre più raro trovare indagati che confessano, che hanno il “crollo psicolo-
gico”,forse perchè la soglia di di ripensamento, di pentimento, di consapevolezza dell’orrore commesso sono sempre più
basse. Il caso più noto di rapida confessione è quella dei coniugi Romano (strage di Erba) che però in seguito hanno
ritrattato.
Ritornando al caso di Gravina mi aveva molto colpito all’inizio dell’inchiesta, quando ancora tutte le possibilità erano aperte,
le immagini trasmesse dalla televisione della casa del padre: così perfetta,così maniacalmente ordinata, pur con tutti quei
ninnoli e il tutto in un ambiente dove convivevano varie persone, anche molto giovani. Dopo quello che si è saputo do-
po è facile pensare che i due fratellini con la loro vivacità e disubbidienza turbavano questo ordine costituito, di qui
l’esplosine di violenza. E questo mi fa pensare al caso di Erba, anche se il contesto è molto diverso…
Il punto sarà ora vedere se gli indizzi raccolti basteranno, senza cadaveri e senza confessione a fare condannare Filippo
Pappalardi.

Il Sindaco di Gravina, Rino Vendola, l’ha confermato tramite l’agenzia AGR. Sono dei due fratellini scomparsi i resti umani – ossa e poco più – ritrovati in fondo al pozzo dentro al quale era caduto un altro ragazzo nel pomeriggio. Si chiude nel peggiore dei modi una vicenda che aveva sconvolto l’Italia.

Si chiude un giallo durato troppo tempo e nel modo peggiore. Il padre aveva dichiarato più volte che Francesco e Salvatore, di tredici e undici anni, erano vivi.

Gravina, il dramma di Ciccio e Tore

Per questore non è stato un incidente

In tempo reale la frenetica giornata a Gravina in Puglia dopo il ritrovamento dei corpi di Ciccio e Tore, i fratellini Pappalardi scomparsi nel giugno del 2006.

21.17 – “Adesso capiranno che non sono stato io. L’ho sempre detto che non c’entravo nulla. Mi affido alla giustizia. Sono convinto che la verità verrà a galla”, ha detto il padre Filippo Pappalardi al direttore del carcere, agli agenti penitenziari e a chi, tra parlamentari e consiglieri regionali, sono andati a trovarlo.

19.08 – “Non ha parlato mai dei suoi figli né di quello che è successo. Ha detto solo che se i bambini giocavano lì intorno e sono caduti non è colpa sua”. Lo ha riferito una collaboratrice del Garante dei diritti dei detenuti del Lazio, Angiolo Marroni, sintetizzando il colloquio di un’ora avuto questa mattina nel carcere di Velletri con Filippo Pappalardi, il padre dei fratellini di Gravina di Puglia.

17.45 –  Francesco e Salvatore Pappalardi non sarebbero morti subito dopo la caduta e a seguito di qualsiasi trauma subito: è probabile che siano deceduti a causa del freddo e per fame. Lo dicono fonti vicino agli inquirenti: “A prescindere dal fatto che i due ragazzini siano caduti o siano stati scaraventati da qualcuno nella cisterna”.

17.30 – Rannicchiati in posizione fetale, Ciccio con le mani tra gambe, Tore con il pollice in bocca, lontani diversi metri uno dall’altro, senza scarpe, con i pantaloni leggermente abbassati, un giubbotto sfilato. E’ la fotografia scattata dai tecnici dell’ERT nel pozzo dell’orrore che hanno scannerizzato a 360 gradi l’intero ambiente perché sia possibile esaminare ogni dettaglio e cercare di ricostruire cosa è successo ai due fratellini di Gravina scomparsi 20 mesi fa. Sarà l’autopsia a stabilire ora e cause della morte, ma sembra certo che Ciccio e Tore erano vivi quando sono finiti nel pozzo.

17.26 – “Ma perché non hanno mai cercato in quel pozzo i miei bambini?”. Filippo Pappalardi, il padre di Francesco e Salvatore, nel carcere di Velletri dove è recluso si rammarica del fatto che Ciccio e Tore siano stati ritrovati “così tardi”. Ma non versa una lacrima. Nella cella continua a ripetere: “Se c’è un Dio, scopriranno la verità”.

16.14 – “Da una prima ispezione è emerso che la condizione attuale dei corpi è una quasi mummificazione”. Lo ha detto il procuratore della Repubblica presso il tribunale di Bari, Emilio Marzano. “Naturalmente – ha aggiunto – dobbiamo stabilire sia la causa che l’epoca della morte come dati fondamentali. Da quello che abbiamo visto finora non sarebbe possibile dare una risposta seria”.

15.20 – “Abbiamo la sensazione, benché debba essere confortata con i dati tecnici, che abbiano subito un’orribile morte”. Lo ha dichiarato il procuratore della Repubblica di Bari, Emilio Marzano, uscendo dal luogo in cui sono stati trovati i corpi senza vita di Francesco e Salvatore Pappalardi.

15.15 – Un lungo applauso dai balconi di Via della Consolazione ha salutato le due bare all’uscita dal cortile del vecchio complesso di stabili dove sono stati rinvenuti i corpi mummificati di Francesco e Salvatore Pappalardi scomparsi venti mesi fa. Da tutti i balconi della piccola via nel centro di Gravina i residenti non hanno retto alla commozione e alle lacrime, è seguito uno scrosciante applauso.

14.33 – “Per quanto riguarda i due corpicini, dobbiamo confermare ragionevolmente che si tratta di Ciccio e Tore”. Lo ha detto il procuratore della Repubblica di Bari, Emilio Marzano, uscendo dalla casa padronale abbandonata in cui sono stati trovati i due cadaveri.

14.10 – Fiippo Pappalardi, padre di Francesco e Salvatore, ha saputo dalla tv, che guardava in cella, del ritrovamento dei corpi dei due bambini nella cisterna di una casa padronale a Gravina in Puglia. L’uomo, arrestato nel novembre scorso con l’accusa di duplice omicidio e occultamento di cadavere, è detenuto nella casa circondariale di Velletri, in provincia di Roma. Appresa la notizia dal tg, Pappalardi – secondo quanto riferiscono alcune fonti – non avrebbe avuto particolari reazioni. Il padre di Ciccio e Tore è in cella con altri tre detenuti nella cosiddetta sezione ‘protetti’ del carcere di Velletri, dove generalmente viene recluso chi è accusato di delitti particolarmente efferati. I ‘protetti’ fanno vita separata dagli altri detenuti: la socialità non è in comune, il transito nei passeggi è separato e anche i colloqui avvengono in orari diversi.

14.00 – In via Giovanni Consolazione sono appena arrivati i due carri funebri che serviranno per trasportare presso l’istituto di medicina legale di Bari i corpi dei due fratellini, Francesco e Salvatore Pappalardi.

13.38 – Secondo alcuni investigatori si delinea uno scenario da uncubo: pare che i due fratellini possano aver avuto una morte lenta, una morte atroce, peggiore di quella che sarebbe toccata loro se fossero morti a causa della caduta nel pozzo. Da alcuni dati emergerebbe infatti che, per qualche tempo, i bambini possano essere rimasti vivi nella cisterna. I corpi non sono in corrispondenza dell’imboccatura del pozzo, che è larga poco meno di un metro per un metro. Non sono quindi rimasti fermi dopo essere precipitati giù – gettati o caduti – per i 22 metri del cunicolo che dal terrazzo porta alla cisterna sotto l’edificio. I corpi infatti sono entrambi da un lato, a una distanza l’uno dall’altro di una quindicina di metri.

13.09 – I corpi di Ciccio e Tore Pappalardi con molta probabilità verranno portati in superficie nel pomeriggio e saranno trasportati presso l’istituto di medicina legale di Bari, dove verrà eseguita l’autopsia.

11.45 – Per il recupero dei corpi nella cisterna probabilmente occorreranno ancora ore. Lo ha detto il questore di Bari, Vincenzo Maria Speranza, parlando con i giornalisti.

11.31 – “L’impianto accusatorio al momento rimane in piedi. Non è una questione di principio perché finora parliamo di indizi molto gravi”. Lo ha dichiarato il questore di Bari, Vincenzo Speranza, aggiungendo tuttavia, tra varie altre considerazioni, e facendo un passo indietro a quanto appena dichiarato: “Non mi sentirei di escludere la caduta accidentale”.

11.10 – ”La città di Gravina provvederà alla sepoltura di quei due poveri bambini”, ha annunciato il sindaco Rino Vendola.

10.45 – Il medico legale Francesco Introna ha concluso un primo esame sui corpi dei due ragazzini che giacciono nella cisterna della casa padronale. Al termine Introna è uscito dalla casa ma non ha rilasciato dichiarazioni.

09.59 – Il questore di Bari, Vincenzo Speranza, ha scartato l’ipotesi dell’incidente: “Escludo categoricamente una caduta accidentale dei due bambini”.

08.54 – Nella cisterna della casa padronale abbandonata sono in corso rilievi della polizia scientifica e un primo sopralluogo del medico legale, Francesco Introna, dell’istituto di medicina legale dell’Università di Bari. Il medico scenderà nella cisterna attraverso il varco aperto dai vigili del fuoco. L’apertura consente di calarsi con una scaletta dal piano strada per un paio di metri e poi, camminando in discesa per qualche altro metro, di giungere nel punto nel quale sono i corpi.

08.00 – ”Non mi muovo di qua, ho diritto almeno di vederli da morti visto che me li hanno strappati in vita”,a aggiunto la mamma dei due fratellini scomparsi. La donna ha trascorso a Gravina tutta la notte: ”Non c’è più neanche la mia vita”. Poi ricorda che dopo la morte dei figli aveva fatto un sogno nel quale aveva visto i suoi figli precipitare in un baratro.

07.31 – E’ giunta qualche minuto fa, dinanzi alla casa di Gravina in Puglia in cui sono stati trovati due corpi, la mamma di Ciccio e Tore Pappalardi, Rosa Carlucci. ”Dall’inizio ho temuto che fossero in un pozzo”, ha detto.

06.37 – Il varco aperto è delle dimensioni di un metro per un metro e mezzo e consente di scendere, dopo aver percorso pochi metri al di sotto del piano stradale, sul fondo della cisterna vuota dove, a poca distanza l’uno dall’altro, ci sono i due corpi.

06.15 – I vigili del fuoco, dopo aver lavorato per tutta la notte, hanno aperto un varco dal piano stradale alla cisterna della casa abbandonata di Gravina in Puglia dove ci sono due cadaveri, i resti umani che apparterrebbero a Ciccio e Tore Pappalardi.

In migliaia a esequie Ciccio e Tore

Il vescovo:”Siamo tutti responsabili”

“La raccapricciante scoperta del 25 febbraio non ci ha restituito vivi i due fratellini. Ora, che ci prepariamo a dare onorata sepoltura ai resti mortali di Ciccio e Tore, dobbiamo fare attenzione a non seppellire anche il messaggio che ci hanno lanciato, ma soprattutto la nostra responsabilità di dare risposte”. Sono le parole pronunciate dal vescovo di Gravina, monsignor Mario Paciello, ai funerali di Salvatore e Francesco Pappalardi.

Non usa mezzi termini il vescovo della Diocesi e poi continua: “La loro caduta mortale è stata come un tonfo senza ritorno in un mare che ha fatto schizzare in alto nugoli di mali nascosti di un paese che non si chiama Gravina, ma Italia. Le disavventure di tutti i bambini – ha proseguito monsignor Paciello – le loro sparizioni, il loro sfruttamento, la loro solitudine, il bullismo degli adolescenti, gli abusi sui minori, l’alcolismo e la droga con le inevitabili conseguenze di disastrose esperienze sessuali, delitti e stragi in auto, sono alcuni dei segnali di malessere sociale e profondo generalizzato, voluto e da tanti favorito davanti al quale si continua a tenere pervicacemente gli occhi chiusi.

E più sbrigativo – dice ancora il vescovo – cancellare le conseguenze di errori morali, anziché insegnare agli adolescenti a rispettare la propria e l’altrui persona, a prepararsi consapevolmente alle grandi scelte della vita e alla genitorialità responsabile”. Poi, un riferimento alle tante lettere che in questi giorni sono arrivate: “Un gruppo di genitori della Sardegna dopo aver letto la mia lettera ai ragazzi di Gravina mi ha scritto: ‘Come genitori, viviamo con ansia e tremore questo tempo di buio perché molti figli si sono persi o sono sulla strada sbagliata dei piaceri sensibili inganno diffuso tra i giovani che si nutrono di cibo avvelenato come l’alcol e la droga”.

Filippo Pappalardi: “Salvato dai miei figli”
“Addio Ciccio e Salvatore, nei tristi giorni nel buio della detenzione un solo pensiero mi confortava, avrei potuto ancora rivedervi, stringervi”: inizia così una lettera di Filippo Pappalardi ai figli letta in chiesa dal nipote Francesco. “Vi immaginavo in un Paese lontano, correre sereni verso casa. Sapevo che sareste tornati, aspettavo quel momento, poi un bambino cadde nella cisterna, Michelino, precipitato lungo un cunicolo buio con lo stesso dolore di Ciccio, grida aiuto gli amici chiamano i soccorsi, che arrivano, e Michele si salva. Starà bene, Ciccio e Tore hanno gridato per ore ma nessuno ha potuto ascoltarli. Le loro grida mi tormentano, le urla di dolore di Ciccio e la disperazione del piccolo Salvatore osservare impotente spegnersi suo fratello nel buio freddo di una cisterna, lontani dalla luce della notte e sperare, pregare, implorare aiuto per lungo, lunghissimo tempo”.

Si dispera Filippo Pappalardi e tiene la testa fra le mani mentre il nipote dà voce alle sue parole: “Che qualcuno si accorgesse che in fondo a quel pozzo un bambino lottava con la fame, il freddo, la sete, la paura, l’angoscia in quei momenti di interminabile straziante dolore. Addio Ciccio, addio Salvatore, addio piccoli angeli. Angeli che in fondo al buio hanno visto la luce di una nuova vita. Angeli che con il loro spirito hanno chiamato un altro bambino salvando lui e me, che resto un uomo solo che può continuare a vivere libero nel ricordo di tanti giorni felici vissuti insieme. Addio piccoli angeli. Il vostro papà”.

Gravina, “Tore trascinò Ciccio”

Medici legali:cadaveri vicini nel pozzo

Salvatore Pappalardi, una volta precipitato insieme al fratello nel pozzo, a Gravina in Puglia, trascinò Francesco dalla base della caditoia del pozzo fino al luogo all’interno della cisterna nel quale sono state ritrovate le due salme lo scorso 25 febbraio. Secondo i i medici legali Tore, che riuscì a sopravvivere più tempo, trascinò Ciccio tirandolo dalla gamba non lesionata, la sinistra, forse per salvarlo.

“Le lesioni riportate da Francesco – scrivono i medici legali. professori Francesco Introna e Vito Romano, nell’autopsia consegnata al magistrato della Procura della repubblica di Bari che indaga sulla morte dei due fratellini – erano di entità tale da non consentire la deambulazione. Quelle di Salvatore, invece, la consentivano, sia pure con impaccio, difficoltà e dolore”.

Gli specialisti hanno dedotto da alcune pieghe della camicia indossata dal fratello più grande che Tore, che riuscì a sopravvivere più tempo, trascinò Ciccio tirandolo dalla gamba non lesionata, la sinistra. Non si esclude neppure che Salvatore abbia tentato di risalire aggrappandosi ad alcuni tufi presenti nella cisterna.

Francesco morto nel sonno
Sempre secondo i medici legali Francesco mori nel sonno per shock emorragico dopo 3 o 4 ore dalla caduta, Salvatore sopravvisse per 24 ore e morì per una serie di fattori concomitanti: emorragia, freddo, indebolimento dell’organismo per mancanza di alimentazione. “Teoricamente – scrivono i medici – non è possibile escludere comunque altre lesioni a carico di organi non più presenti nelle salme, stante lo stato del rinvenimento, che potrebbero aver ridotto i tempi di sopravvivenza”.

 

 

 

 

 

Entrambi i fratellini sarebbero precipitati con i piedi in avanti. Francesco, si legge nella perizia, batté contro il suolo con l’arto inferiore destro in estensione. Per questo si procurò varie fratture all’arto. Salvatore riportò una lesione al piede più lieve rispetto al fratello. E’ possibile che il ragazzino, cadendo, tentò col piede di agganciare una dele nicchie laterali del pozzo procurandosi in tal modo la frattura.

Impossibile stabilire chi dei due cadde per primo
L’autospia tuttavia non è in grado di stabilire con esattezza chi dei due fratellini cadde per primo. I medici legali escludono, comunque, che un corpo sia caduto sull’altro. Inoltre, confrontando le fratture riportate dal piccolo Michelino – il ragazzino precipitato il 25 febbraio, episodio che consentì il ritrovamento dei cadaveri dei fratellini Pappalardi – con quelle di Francesco, si deduce che Ciccio, il 5 giugno 2006, cadde da 14 metri di altezza.

Gravina,”Ciccio morto a mezzanotte”

Gravina, per Tore 24 ore di agonia

Ciccio e Tore sarebbero caduti dentro la cisterna della masseria dalle 100 stanze tra le 19.30 e le 20.30 del giorno in cui scomparvero, il 5 giugno del 2006. E’ quanto emerso dalla perizia dei medici legali dopo l’esame autoptico sui corpi dei due fratellini. Per stabilire la data della caduta si è partiti dall’esame del cibo nell’intestino. Francesco è stato il primo a morire attorno alla mezzanotte. Per Salvatore un’agonia durata circa 24 ore.

I medici legali sono partiti dall’orario della morte di Ciccio, caduto per primo all’interno del pozzo. “Sulla scorta di elementi convergenti ma soprattutto sul rilievo di dna di suino a livello della flessura destra del colon – si legge nella relazione – appare possibile affermare che il decesso di Francesco Pappalardi si verificò circa 6 ore dopo l’assunzione del pasto delle ore 17.30, e quindi intorno alle 23.30 del 5 giugno 2006”.

“Orbene – scrivono ancora i medici legali – stabilita l’epoca di morte di Francesco Pappalardi nell’interno della cisterna è possibile risalire al momento della precipitazione che appare strettamente correlato con l’epoca di morte desunta al transito intestinale, nonché con i tempi di sopravvivenza nella cisterna, secondo la seguente equazione: ora della precipitazione uguale epoca di morte meno tempo di sopravvivenza”. Secondo questo calcolo scientifico i due medici legali hanno definito che i tempi di sopravvivenza di Francesco “oscillarono fra le 3 e le 4 ore al massimo”.

Pertanto “è possibile formulare un’ipotesi che non considera alcun rallentamento del transito intestinale indotto dal trauma”. Per questo motivo, “sommando sei ore (il tempo necessario di cibo digerito alle 17.30 per raggiungere la flessura destra del colon) alle ore 17.30 (momento dell’assunzione) si ottiene l’orario delle 23.30 che corrisponde alla morte di Francesco, sottraendo quindi 3-4 ore (tempo intercorrente tra la precipitazione e la morte) si ottiene che la precipitazione si verificò fra le 19.30 e le 20.30 del giorno della scomparsa”.

Salvatore morto dopo una lunga agonia
Sarebbe morto “non prima di 24 ore dalla precipitazione” Salvatore, il più piccolo dei fratellini Pappalardi.

Ascoltati gli amici di Ciccio e Tore
In Questura a Bari sono stati ascoltati alcuni amichetti di Ciccio e Tore. L’interrogatorio, secondo quanto si è appreso, sarebbe stato condotto dal capo della squadra mobile, Luigi Liguori. Nei giorni scorsi, i ragazzini sono stati ascoltati anche dal pm inquirente, Antonino Lupo, che intende sapere da loro se Ciccio e Tore fossero soliti giocare nella vecchia casa. Alcuni di loro dissero di non essere mai andati a giocare lì, un altro invece ammise di aver frequentato quel luogo. Quest’ultimo, Francesco, è l’adolescente che il 25 febbraio diede l’allarme dopo che il suo amico, Michelino, era finito nella cisterna in cui furono trovati, subito dopo, i corpi mummificati di Ciccio e Tore.

Gravina, scarcerato Pappalardi

Gip di Bari dispone domiciliari

Filippo Pappalardi, il padre di Ciccio e Tore, i due fratellini di Gravina, potrà tornare libero ma dovrà restare agli arresti domiciliari. Lo ha deciso il gip di Bari, Giulia Romanazzi, la quale ha mutato i capi d’accusa per Pappalardi: venute meno le contestazioni di sequestro di persona e occultamento di cadavere mosse dalla procura con l’arresto dell’uomo, nel novembre 2007. Ora si procede per reato di abbandono seguito da morte.

La nuova ipotesi di reato avanzata dal gip si basa sul fatto Ciccio e Tore, la sera della scomparsa, il 5 giugno 2006, furono visti da un testimone mentre salivano sull’autovettura del padre. “Vi è quindi l’abbandono – ha spiegato il presidente della sezione gip Giovanni Leonardi – perché l’indagato solo due ore dopo essere stato visto con i figli ha raggiunto il commissariato di polizia, senza fare alcuna denuncia”. Quest’ultima fu presentata solo il giorno dopo dalla mamma di Ciccio e Tore, Rosa Carlucci, mentre l’indagato si recò invece, come ogni giorno, al lavoro.

Cosa prevede la nuova accusa
L’art.591 del codice penale si occupa “dell’abbandono di persone minori o incapaci” e riguarda “chiunque abbandona una persona minore degli anni quattordici, ovvero una persona incapace, per malattia di mente o di corpo, per vecchiaia, o per altra causa, di provvedere a se stessa, e della quale abbia la custodia o debba avere la cura”.

Al comma 3 dello stesso articolo, il codice penale prevede la pena della reclusione da uno a sei anni “se dal fatto deriva una lesione personale”, e da tre a otto anni “se ne deriva la morte”. “Le pene sono aumentate – si conclude – se il fatto è commesso dal genitore, dal figlio, dal tutore o dal coniuge, ovvero dall’adottante o dall’adottato”.

“Fu l’ultimo a vedere i bambini”
Fu Pappalardi a vedere per l’ultima volta Ciccio e Tore in piazza delle Quattro Fontane la sera della loro scomparsa, il 5 giugno 2006: ma “i bambini, verosimilmente, per sottrarsi alla consueta aggressività paterna e ad una prevedibile consequenziale punizione, avrebbero istintivamente preferito la fuga”. Lo scrive il gip Romanazzi nel provvedimento di 32 pagine con cui ha concesso i domiciliari all’indagato. Pappalardi – scrive il gip – avrebbe inseguito i figli a bordo della sua autovettura, ma li avrebbe “definitivamente persi di vista (verosimilmente in zona Via Ianora, cioè proprio lungo quella strada che insistentemente, ma tardivamente, il Pappalardi ha invocato, attribuendo l’ avvistamento non a se stesso ma ad altre persone)”.

Filippo Pappalardi credeva che la fuga di Ciccio e Tore fosse attribuibile ad “una temporanea ragazzata”, quindi “è plausibile” che l’uomo abbia cercato i figli “soprattutto nella zona vicina a via Ianora” in cui i ragazzini erano fuggiti alla vista del loro papà. “In questa stessa prospettiva – argomenta il giudice – non appare per nulla casuale” il fatto che Pappalardi si recò al Roxy bar per un cambio di moneta, perché il bar si trova su una strada perpendicolare a via Ianora e quasi incredibilmente parallela a via della Consolazione”, dove sono stati trovati, il 25 febbraio scorso, i cadaveri dei fratellini. Secondo il gip, “in questa prospettiva non è del tutto casuale” che Pappalardi “abbia fornito plurime e variegate versioni sul primissimo percorso intrapreso”.

“Voleva sembrare un buon padre di famiglia”
“Non valeva la pena ‘per una bravata da ragazzini’ mettere a repentaglio la propria reputazione di ‘buon padre di famiglia’, e dunque rischiare la perdita dell’agognata potestà genitoriale in via esclusiva”: per questo Filippo Pappalardi, la sera del 5 giugno 2006, tardò nel dare l’allarme alla polizia dopo la scomparsa di Ciccio e Tore e successivamente fornì dichiarazioni false agli investigatori. “In questa prospettiva – argomenta il giudice – occorreva altresì eclissare la figura di Maria Ricupero, da cui aveva ottenuto il presupposto (la convivenza) per l’affidamento esclusivo dei figli; in questa prospettiva trova idonea collocazione la ‘causale’ del ‘Buon Padre di Famiglia’ che diventa elemento catalizzatore delle altre circostanze indizianti e chiave di lettura delle stesse; in questa prospettiva si inserisce anche il fatto di essersi mostrato disposto a correre il rischio di una deviazione delle indagini”.

“Solo col passare dei giorni – prosegue il giudice – quando aveva cominciato a prendere corpo e spessore l’ipotesi di un accadimento ben più serio, il Pappalardi si era adoperato, ormai tardivamente, per fornire proficui spunti investigativi, non attribuendosene comunque mai la paternità della conoscenza”. “L’impostazione sin qui seguita – aggiunge – trova anche una maggiore ed adeguata confacenza al contenuto delle conversazioni telefoniche ed ambientali captate. A prescindere dall’idioma utilizzato, criptico nella sua stessa semantica, si ritiene che ‘le captazioni incriminanti’ si spiegano tutte nell’ottica del tentativo maldestro di occultare il mendacio e le reticenze profuse, e nella esigenza di non esporsi al rischio di essere colpevolizzati”.

“Non merita la scarcerazione”
Filippo Pappalardi può inquinare le prove e reiterare il reato (di abbandono): per questo motivo nei suoi confronti il gip Giulia Romanazzi ha disposto gli arresti domiciliari ritenendo l’uomo “immeritevole del beneficio della scarcerazione”. Esaminando i comportamenti tenuti dall’indagato, la cui personalità viene definita estremamente negativa, il giudice scrive che Pappalardi continua ad avere “la pervicace ed ostinata volontà”, manifestata anche nel corso dell’ultimo interrogatorio, di “gelosa custodia della propria colpa”. Inoltre in lui è assente “qualunque segnale di ravvedimento operoso, persino all’esito di un accadimento così terrificante, qual è stato quello del ritrovamento cadaverico dei propri figli; per cui neppure ‘il senso di colpa’ è riuscito ad avere la meglio sull’esigenza di tutela della propria linea difensiva (ovviamente finalizzata a scagionare se stesso)”.

Il giudice ritiene che Pappalardi possa inquinare le prove sia perché sono in corso indagini sia perché sta per essere compiuto un incidente probatorio per raccogliere il racconto del teste-chiave; “poichè Pappalardi – ragiona il gip – ha offerto pessima prova in ordine alla capacità di astenersi da comportamenti ‘contaminanti ed adulteranti’, anche per questa ragione appare immeritevole del beneficio della scarcerazione”. “E’ pur vero – conclude – che l’ambiente familiare è stato ‘istigatore’; tuttavia, la presenza di due ragazze non figlie naturali dell’indagato e protette dalla Ricupero, e di una bambina in età ancora precoce per provocare reazioni aggressive, inducono a ritenere che la detenzione domiciliare non sia del tutto inconfacente”.

L’avvocato di Pappalardi: “Decisione corretta”
“Ritengo che sotto il profilo formale il provvedimento del gip possa essere corretto: non stiamo facendo un processo, abbiamo solo stabilito i contorni di eventuali e presunte responsabilità”. E’ quanto ha affermato Angela Aliani, il legale di Filippo Pappalardi uscendo dalla casa circondariale di Velletri (Roma). Quando i cronisti le hanno chiesto se il magistrato ha voluto mantenere valide alcune responsabilita’ attribuite al suo assistito, l’avvocato ha risposto: “Mi attengo allo stato degli atti; ho letto il dispositivo ma non ho letto le motivazioni”. “Per ora i contorni che aveva tracciato l’ordinanza custodiale – ha concluso l’avvocato – non ci sono più perché il gip ha revocato quell’ordinanza”.

La mamma di Ciccio e Tore: “Temevano il padre”
“Voglio solo che la giustizia faccia il suo operato in nome di Ciccio e Salvatore e che ci sia soprattutto chiarezza su quanto è accaduto”, ha detto la mamma dei due fratellini di Gravina in Puglia, Rosa Carlucci. ”Per me – ha aggiunto – sarà una giornata triste per tutta la vita, senza i miei bambini”. E ancora: ”I miei figli avevano paura del padre, ma soprattutto delle sue malefatte. Disegnavano sempre delle bare e Salvatore mi aveva chiesto che se fosse accaduto qualcosa a loro di vendicarli”.

Gravina, “nuove fratture sui corpi”

Medico Procura:”Caduta fu accidentale”

Secondo il medico legale della Procura di Bari ci sono altre fratture sui corpi di Francesco e Salvatore Pappalardi. Lo ha detto al termine dell’autopsia. Tutte le fratture sono compatibili con la caduta – ritenuta accidentale dagli esami medici – nella cisterna. L’autopsia ha accertato che Ciccio è morto otto ore dopo la caduta. Tore, invece, sarebbe morto al massimo 36-48 ore dopo per fame, gelo, emorragia e per le lesioni riportate.

Nello stomaco di Ciccio – si è saputo – è stato trovato materiale che potrebbe essere cibo. Feci solide sono state invece trovate nel suo intestino. Su Ciccio è stata inoltre trovata una nuova frattura ad un’altra vertebra, oltre a quelle importanti e numerose della gamba e del bacino. Nello stomaco e nell’intestino di Salvatore non sono stati trovati residui di cibo.

Esame autoptico esclude la violenza
L’autopsia ha escluso che i due fratellini abbiano subito violenza prima di precipitare nella grande cisterna della masseria disabitata in cui sono stati trovati i loro corpi il 25 febbraio scorso. Lo si è appreso da fonti della Procura. L’esame non avrebbe infatti rilevato “alcun segno di violenza sui cadaveri ma solo lesioni fratturative compatibili con una precipitazione”, viene spiegato nella fredda terminologia medica.

“Caduta fu accidentale”
Ciccio e Tore, poi, quasi certamente sono precipitati accidentalmente. Lo riferiscono fonti investigative dopo aver esaminato e incrociato i risultati dell’autopsia con quelli della Tac e della risonanza magnetica. Il dato della caduta accidentale, quindi, si basa solo sui risultati degli accertamenti medico-legali.

La compagna di Pappalardi: “La giustizia quella sera ha dormito”
La sera della scomparsa di Ciccio e Tore “io e Filippo abbiamo cercato i nostri figli, la giustizia invece è andata a dormire”. Lo ha detto Maria Ricupero, la convivente di Filippo Pappalardi, intervistata da “La vita in diretta”. La sera del 5 giugno 2006 – ha detto la donna – io e Filippo abbiamo cercato i nostri figli, siamo andati a Santeramo (a casa della loro mamma) a cercarli, poi siamo tornati” (a Gravina). I due – fa capire la donna – raggiunsero poi il commissariato di polizia: “Qui – dice – un piantone dal balcone ci disse: “Filippo vai a dormire, vieni domani mattina. Noi – ha urlato – non siamo andati a dormire, noi siamo andati alla ricerca dei figli, loro sono andati a dormire, non noi. Noi abbiamo fatto la parte del padre e della madre, li abbiamo cercati. Non siamo andati a dormire: quella sera è la giustizia che è andata a dormire. Se loro volevano, quella sera, bloccavano le frontiere. Loro hanno sbagliato, non noi”. Il dirigente della squadra mobile di Bari – ha giurato la donna – la sera in cui mi ha fatto vedere i vestiti di Ciccio e Tore (dopo il ritrovamento dei corpi) mi ha detto “signora Maria, è stato un incidente”, lui me l’ha detto e mi ha dato persino la mano. Lo posso giurare sul bene dei miei figli che sono morti”.

Il Papa: “Un grido per i bambini”

Benedetto XVI parla di Gravina

All’Angelus domenicale, il Papa ha ricordato la tragica fine di Ciccio e Tore, i due fratellini di Gravina, lanciando “un grido in favore dell’infanzia: prendiamoci cura dei piccoli! Bisogna amarli, aiutarli a crescere. Lo dico ai genitori, ma anche alle istituzioni. Affido ogni bambino al cuore di Cristo, che ha detto: ‘Lasciate che i bambini vengano a me!'”, ha concluso il Papa citando un passo del Vangelo di Luca.

“Nel corso della settimana – ha detto il Pontefice – la cronaca italiana ha appuntato la sua attenzione sulla triste fine di due bambini, noti come Ciccio e Tore. Una fine che ha profondamente colpito me come tante famiglie e persone. Vorrei cogliere l’occasione per lanciare un grido a favore dell’infanzia: prendiamoci cura dei piccoli! Bisogna amarli e aiutarli a crescere. Lo dico ai genitori, ma anche alle istituzioni”.

“Nel lanciare questo appello – ha aggiunto Benedetto XVI – il mio pensiero va all’infanzia di ogni parte del mondo, particolarmente a quella più indifesa, sfruttata e abusata”.

Il pozzo era una prova di coraggio

Gravina, il racconto dei coetanei

“Scendere là sotto era una prova di coraggio”. Dopo i primi dettagli sul ritrovamento dei corpi di Ciccio e Tore, alcuni coetanei dei due fratellini morti in fondo al pozzo descrivono così la dispensa della masseria dove sono morti i ragazzini. Sulla dinamica dei fatti, per ora non ci sono certezze, ma il primo a cadere nel pozzo pare sia stato Francesco, seguito poi dal fratello minore Salvatore.

Molto frequentata dai bambini della zona, dunque, la masseria non era soltanto un luogo abbandonato, ma il teatro di forti emozioni e sfide adolescenziali. “Li prendevamo in giro, perché ci sembravano poco coraggiosi – racconta a La Stampa un sedicenne del paese – Perché non scendete mai nella masseria delle cento stanze?, chiedevamo loro”.

Gli fa eco il ragazzo 11enne che ha salvato Michele, il bambino caduto lunedì nel pozzo vicino ai corpi dei fratelli Pappalardi. “Ci siamo calati laggiù insieme ad altri due amici perché abbiamo visto che c’erano quattro ragazzi, Michele e dei suoi compagni. Loro hanno cominciato a tirarci delle pietre e noi abbiamo risposto – spiega il giovane – Poi ho visto Michele scappare, salire su per i gradini e cadere all’improvviso nella cisterna”. Un racconto che sembra avvalorare la tesi dell’incidente anche nella vicenda dei due fratellini e che svela un regno segreto della paura e della fantasia fatto di tufo, cunicoli e pozzi pericolosi.

Tutti sapevano del pozzo e dei rischi che si correvano nell vecchia casa, raccontano i ragazzini del posto. Ma in pochi si sottraevano alla prova di coraggio. “Ho visto entrare anche Francesco e Salvatore, ma alla polizia non mi hanno dato retta”, aggiunge l’11enne che ha salvato Michele avvertendo la madre del ragazzo e attivando la macchina dei soccorsi. Anche secondo altri ragazzi i due fratellini erano soliti recarsi nella masseria per giocare. “Ci sono molti posti come quello – racconta uno di loro – Ma quel pozzo è il più pericoloso. Ciccio e Tore andavano negli altri e io li prendevo in giro a scuola perché mi sembravano un po’ paurosi”. Alla fine, probabilmente, anche loro hanno trovato il coraggio.

Il padre vuole partecipare ai funerali
Filippo Pappalardi, il padre di Francesco e Salvatore in carcere con l’accusa di aver uciso i suoi figli, ha chiesto di essere scarcerato. “Se c’è un Dio, scopriranno la verità. Uscirò di qui. E comunque ai funerali voglio esserci”, ha detto subito dopo il riconoscimento dei corpi dei due ragazzini morti in fondo al pozzo.

Gravina, madre riconosce fratellini

“I resti sono di Ciccio e Tore”

“La madre ha riconosciuto i resti”. Lo ha reso noto il professor Luigi Introna, responsabile del pool di medici legali dinanzi all’Istituto dove Rosa Carlucci, la madre dei due fratellini di Gravina si è recata per il riconoscimento ufficiale. Introna, direttore dell’Istituto di medicina legale dell’Università di Bari, è stato incaricato dalla procura di effettuare gli esami autoptici sui due cadaveri. I funerali saranno celebrati fra un mese.

Il riconoscimento dei corpi
La visita per il riconoscimento dei cadaveri da parte della madre dei fratellini di Gravina è durata circa mezz’ora. Conclusa la drammatica operazione, la donna è stata fatta uscire da un accesso secondario all’Istituto per evitare i giornalisti e le telecamere che l’aspettavano fuori. Uscendo è apparsa particolarmente provata e nell’immediato non ha rilasciato dichiarazioni. La donna era arrivata dinanzi all’Istituto, nel Policlinico di Bari, scortata dalla polizia, che ha impedito a chiunque di avvicinarsi a lei. Rosa Carlucci è giunta al Policlinico accompagnata dal suo compagno, Nicola Nuzzolese, che è entrato nell’Istituto alcuni minuti dopo di lei. Poco dopo è arrivata anche Maria Ricupero la compagna di Filippo Pappalardi, il padre dei due bambini che è attualmente in carcere con l’accusa di omicidio. La donna è uscita dall’Istituto subito ed è svenuta mentre cercava inutilmente di sottrarsi all’assedio di giornalisti e telecamere. Mentre la polizia tentava di proteggerla e di accompagnarla alla sua automobile, la donna è caduta per terra in uno dei vialetti dell’ospedale. Subito dopo è stata fatta salire su un’automobile del Policlinico insieme con degli infermieri.

Il medico legale: “Segni di fratture sulle gambe di Francesco”
Primi dettagli sull’esame autoptico sui resti di Francesco e Salvatore Pappalardi. “C’è qualcosa sul corpo di Francesco. Non abbiamo però completato, su Salvatore non abbiamo neppure iniziato. Per quello che vediamo noi le fratture sono solo alle gambe”, ha detto Vito Romano, uno dei due medici legali (l’altro è Francesco Introna) incaricati dalla Procura di Bari. “Abbiamo fatto gli esami radiologici. Nei prossimi giorni completeremo con una risonanza magnetica e con ulteriori indagini radiologiche per poi fare l’autopsia vera e propria”, ha aggiunto Romano. Per completare il loro lavoro, i due medici avranno tempo fino alla fine di marzo. “Abbiamo 30 giorni di tempo, fino al 31 marzo. Penso che restituiremo anche per quella data i corpi – ha precisato ancora Romano – Sarà un lungo lavoro”. Ciccio e Salvatore, secondo quanto è emerso da un primo esame esterno delle salme, sono sopravvissuti al massimo 24 ore, forse anche meno.

“Ignoti i tempi di sopravvivenza”
Non è per ora possibile stabilire per quanto tempo siano sopravvissuti Ciccio e Tore all’interno della cisterna. Lo afferma Francesco Introna, l’altro medico legale nominato dalla procura barese per accertare le cause della morte dei due bambini. Per arrivare a questi elementi, aggiunge il medico, sono necessarie analisi complesse: gastriche, immunoistochimiche e di sanguinamento. Questi accertamenti, ha aggiunto lo specialista, saranno eseguiti nei prossimi giorni.

Chiesta la scarcerazione del padre

L’avvocato Angela Aliani ha presentato istanza di scarcerazione nei confronti di Filippo Pappalardi, il padre dei due bambini di Gravina in Puglia che è in carcere dal 27 novembre scorso con l’accusa di duplice omicidio. ”Non ci sono indizi, non ci sono esigenze”, ha spiegato. Il legale ha assistito in Procura al conferimento dell’incarico per l’autopsia.

“Nel pozzo segni di unghiate”

Gravina,lo sostiene il legale del padre

Mentre gli inquirenti stanno cercando di chiarire le cause della morte di Ciccio e Tore, il legale del papà dei due fratellini, Angela Aliani, svela nuovi dettagli sul ritrovamento dei corpi per avvalorare la tesi della disgrazia e scagionare il suo cliente. “Hanno cercato di salvarsi: su una parete ci sono segni di unghiate. Sono evidenti i tentativi di voler risalire”, ha detto l’avvocato, secondo cui iragazzini sono caduti nel pozzo.

“Probabilmente nella cisterna è caduto prima Ciccio, perché ha quasi certamente una frattura alla gamba sinistra. Ciccio può aver chiesto aiuto al fratello Salvatore, che è finito nel pozzo nel tentativo di soccorrere Francesco”, ha precisato il difensore, ipotizzando che i bambini stessero giocando in una stanza interrata della vecchia masseria.

Lì si trova uno dei tre accessi al pozzo. Il legale ha spiegato che Francesco, “dopo essere caduto nel cunicolo del pozzo, si è trascinato per mezzo metro fino a raggiungere la cisterna”, dove è stato trovato il suo corpo.

“Il cadavere di Salvatore – ha aggiunto – era a circa 15 metri di distanza, vicino ad una parete della cisterna dove si trova anche un davanzale alto un metro e mezzo. Sul davanzale sono state trovate le scarpe di Salvatore, una scarpa di Francesco e la t-shirt di Salvatore. Per terra, sotto il davanzale, si trovava il giubbottino verde di Ciccio”.

Il fatto che Francesco non avesse la t-shirt – secondo alcune fonti – prova la morte per assideramento.

“Sotto il davanzale sul quale sono state trovate le scarpe e la t-shirt – ha spiegato il legale – erano accatastati uno su l’altro dei tufi: questo perché il davanzale è posto ad un’altezza di un metro e mezzo mentre Salvatore è alto un metro e trenta”.

Il fatto che almeno Salvatore abbia riposto le scarpe sul davanzale fa ipotizzare alla difesa che il ragazzino sia rimasto per ore in vita nella cisterna: ha avuto infatti la possibilità di sfruttare il raggio di luce che entrava per vedere il davanzale. “Su una parete della cisterna – ha aggiunto il legale – c’erano segni di unghiate”.

Ciccio e Tore,morti di fame e gelo

Gravina, il padre: “Sono innocente”

Sono morti di fame e di sete nel buio del pozzo che li aveva inghiottiti, Ciccio e Tore, i due bimbi di Gravina in Puglia scomparsi dal 5 giugno del 2006. I corpi senza vita, oramai mummificati, dei due fratellini sono stati trovati nel fondo di una cisterna in un edificio settecentesco abbandonato. Ad ammettere la tragica fine dei due bambini è stato il procuratore capo di Bari. Dal carcere il padre proclama la sua innocenza.

“Abbiamo la sensazione – ha detto il procuratore capo di Bar Emilio Marzano – che abbiano subito una orribile morte”. E intanto il padre dei bimbi, dal carcere di Velletri dove si trova recluso con l’accusa di avere ucciso i suoi figli, si chiede: “Perché non li hanno cercati?”. E di dichiara ancora una volta innocente: “Ora capiranno che non sono stato io”.

Per trovare i due ragazzini spariti gli investigatori hanno percorso tutte le piste, hanno seguito persino una traccia che li ha condotti in Romania, ma in questi 19 mesi Francesco e Salvatore Pappalardi, 13 e 11 anni, non si sono mai mossi dal centro di Gravina, dove infine sono stati ritrovati solo per un caso: la caduta in quello stesso pozzo dove Ciccio e Tore sono morti di un ragazzino di 12 anni, Michele, poi portato in salvo dai vigili del fuoco e dai carabinieri.

Solo quando i resti sono stati portati in superficie si è avuta la certezza matematica che si trattasse proprio di Ciccio e Tore. Dall’alto del pozzo si intravedeva infatti qualcosa di arancione, come il giubbotto di Salvatore Pappalardi, mostrato sin dall’inizio nelle foto segnaletiche, lo stesso che aveva indosso alla festa di comunione alla quale aveva partecipato la domenica precedente la scomparsa, e qualcosa di bianco, come i pantaloni indossati dal fratello. Il questore di Bari Vincenzo Maria Speranza ha spiegato che i cadaveri dei due fratellini erano “‘uno supino e l’altro leggermente distante”, uno vicino al luogo dove è caduto Michele, l’altro poco distante.

“La temperatura là sotto è bassa – ha aggiunto Speranza – i corpi si sono mantenuti in una certa integrità, altrimenti non sarebbero stati in questo stato che è comunque di decomposizione. Solo il caso poteva far ritrovare questi bambini. Lo stato dei luoghi è tale che anche i cani avrebbero avuto difficoltà a trovarli. La profondità dal piano terra è di 15-20 metri”, ha spiegato ancora il questore. Mercoledì verrà eseguita domani. Ora si dovrà capire perché i due ragazzini non avessero ai piedi le scarpe, ritrovate vicino ai cadaveri. Forse le hanno perse cadendo oppure in un disperato tentativo di risalire. O sono finiti dentro il cunicolo già senza scarpe. Il pozzo, largo appena un metro e mezzo, parte dal secondo piano del vecchio palazzo abbandonato, che si trova nel centro della città, a pochi passi da Corso Di Vittorio e dalla pineta, una zona luogo di giochi anche dei due fratellini, come emerse nelle ore immediatamente successive alla scomparsa.

Si tratta di un vecchio convento, ora posto sotto sequestro, che un tempo ospitava delle suore. “Non mi sento di escludere nulla al momento”, ha detto il questore Speranza, sottolineando che “la presenza sul luogo del ritrovamento dell’avvocato di Filippo Pappalardi è il segno di una trasparenza assoluta dell’indagine”.

La difesa: “Poco credibile che sia stato il padre”
L’avvocato Angela Aliani, legale del padre dei fratellini in carcere dallo scorso 27 novembre con le accuse di duplice omicidio e occultamento di cadaveri, ha spiegato di non ritenere “credibile che possa essere stato il padre a trasportare i corpi fin qui, a scavalcare il muro di cinta”, anche perché “l’avrebbero potuto vederlo i numerosi vicini”. La zona infatti è piena di palazzine e balconi che si affacciano proprio sul cortile interno del vecchio rudere.

Filippo Pappalardi: “Perché non li hanno cercati?”
“Adesso capiranno che non sono stato io. L’ho sempre detto che non c’entravo nulla. Mi affido alla giustizia. Sono convinto che la verità verrà a galla”, sono state le prime parole di Filippo Pappalardi al direttore del carcere, agli agenti penitenziari e a chi, tra parlamentari e consiglieri regionali, sono andati a trovarlo. L’uomo lancia una domanda che lo tormenta: “Perché non li hanno cercati?”.

“L’impianto accusatorio per ora rimane perché non abbiamo elementi tali che ci consentano di ripensarlo”, ha sottolineato dal canto suo il procuratore capo Marzano. “Abbiamo fatto gli accertamenti che erano indispensabili – ha spiegato ai giornalisti – . Dobbiamo stabilire la causa e l’epoca della morte come dati fondamentali. Da quello che abbiamo visto finora non è possibile dare una risposta seria su questi due argomenti”.

Il procuratore ha tenuto anche a evidenziare che “la visita, il sopralluogo e l’accertamento sono stati fatti nel contraddittorio e con il difensore dell’attuale indagato. E con un suo consulente medico. La Scientifica – ha aggiunto – ha eseguito rilievi fotografici e planimetrici e la verifica di tutti i reperti”. In ogni caso, ha aggiunto, “non abbiamo ancora verificato se ci sono segni di violenza sui corpi perché ciò sarà fatto attraverso le autopsie e le indagini”.

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